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Parkinson, la terapia può spingere alcuni pazienti a rischiare di più

Parkinson, la terapia può spingere alcuni pazienti a rischiare di più

Con comportamenti come gioco d’azzardo e shopping compulsivo

27 novembre 2024, 15:14

di Benedetta Bianco

ANSACheck
Le terapie anti-Parkinson possono spingere a comportamenti rischiosi (fonte: PxHere) - RIPRODUZIONE RISERVATA

Le terapie anti-Parkinson possono spingere a comportamenti rischiosi (fonte: PxHere) - RIPRODUZIONE RISERVATA

In alcuni pazienti predisposti, la normale terapia contro la malattia di Parkinson può spingere a controllare meno i propri impulsi e ad adottare comportamenti più rischiosi, come il gioco d’azzardo e lo shopping compulsivo. Lo ha scoperto lo studio guidato dall’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e pubblicato sulla rivista Annals of Clinical and Translational Neurology, al quale hanno partecipato anche l’Università di Firenze e l’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi. I risultati evidenziano l’importanza di approfondire questo fenomeno, che può causare problemi personali, familiari e sociali, in modo da mettere a punto trattamenti sempre più personalizzati che possano evitarlo.

La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo che colpisce principalmente il controllo motorio, causando sintomi come tremore, rigidità e difficoltà nei movimenti, ma esistono anche sintomi non motori come le alterazioni dei processi decisionali, che sfociano nei cosiddetti disturbi del controllo degli impulsi. I ricercatori coordinati da Alberto Mazzoni hanno quindi esaminato gli effetti dei farmaci su questi altri aspetti grazie a un test comportamentale: i pazienti hanno partecipato a un videogioco nel quale dovevano scegliere più volte tra due opzioni, più o meno rischiose, per cercare di vincere il più possibile.

Prima della somministrazione dei farmaci, tutti i pazienti hanno adottato correttamente la strategia a basso rischio, considerata ottimale dal punto di vista economico”, commenta Fabio Taddeini, primo autore dello studio. “Solo dopo l’assunzione dei farmaci i comportamenti si sono differenziati: i pazienti senza disturbi hanno mantenuto la strategia a basso rischio – dice Taddeini – mentre i pazienti con disturbi decisionali hanno mostrato un graduale aumento delle scelte rischiose”.

Riproduzione riservata © Copyright ANSA

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